Archi di luminarie pronte ad accendersi, nella notte tra il 14 e il 15 settembre, per la tradizionale festa della “Calata del Santo”, incorniciano il Corso principale di Soriano Calabro al nostro arrivo. Ad accoglierci, in questa prima tappa del nostro viaggio, è Francesco Bartone, sindaco entusiasta e orgoglioso di questo piccolo comune ai piedi dell’Appennino calabrese; prima di noi Francois Lenormant, George Gissing, Alexander Dumas, Henry Swiniburne vi hanno fatto sosta durante i loro Grand Tour in Calabria.
Il sindaco ci guida attraverso le rovine del Convento di San Domenico e tra i preziosi marmi del MuMar, che raccoglie le statue rinvenute durante i recenti scavi e quelle che gli stessi monaci avevano conservato all’indomani del rovinoso terremoto che distrusse l’imponente Convento e il paese di Soriano, nel 1783.
Soriano è un luogo dove natura rigogliosa, fede, prodigio, storia e cultura si intrecciano in un unico avvincente racconto e regalano al viaggiatore forte suggestione.
Due eventi, che la tradizione e la fede vogliono “miracolosi”, cambiarono per sempre la storia di questo luogo. Si racconta che nel 1510 San Domenico da Guzmán apparve in sogno a padre Vincenzo da Catanzaro chiedendogli di fondare un Convento proprio a Soriano Calabro e che, due decenni dopo, la Madonna, in compagnia di Santa Maria Maddalena e Santa Caterina Vergine e Martire, apparve a frate Lorenzo da Grotteria nella notte tra il 14 e il 15 settembre del 1530, consegnandogli un quadro raffigurante San Domenico. Il quadro, che la devozione vuole acheropita, cioè non dipinto da mano umana, mentre gli storici fanno risalire alla fine del ‘400 e attribuiscono a Paolo di Ciaccio, è tuttora esposto nel Santuario di San Domenico.
Credenti e non, nessuno di noi resta indifferente all’energia che avvolge le rovine di questo Convento, che fu un importantissimo luogo di culto, ospitando fino a 400 monaci e una fervida attività culturale e produzione artistica.
Mangiando i mostaccioli, dolci rituali – con valenza magico-religiosa e propiziatoria – tipici di Soriano, a base di miele e farina, modellati a mano dai maestri locali, artisti nel conferire forme antropomorfiche o zoomorfe e nel decorare a intaglio e con l’inserimento di pezzettini di carta stagnola variopinta, di cui abbiamo fatto scorta durante la visita alla Dolciaria Sorace Domenico, copriamo la distanza che ci separa dalla nostra seconda meta: Maierato. Ad attenderci Giacinto Callipo, figlio di Filippo, titolare dell’omonimo gruppo, che ci guida negli stabilimenti in cui la Callipo effettua tutte le fasi di lavorazione del tonno, a partire dagli anni ‘80.
Nata nel 1913 a Pizzo, cittadina situata nel cuore del Golfo di Sant’Eufemia, nota sin dall’antichità per la pesca del Tonno di Tonnara, la Callipo è una delle aziende più longeve della regione, modello di efficienza nel settore agroalimentare. Osservando il processo di lavorazione, restiamo ipnotizzati dai movimenti cadenzati delle donne che effettuano la monda (pulitura e selezione qualitativa) che, per il ritmo, sembra una danza.
Lasciato Maierato, ci dirigiamo a Vibo Valentia dove Silvana Iannelli, appassionata ispettrice della Sovrintendenza per i beni archeologici della Calabria in pensione, disponibile e paziente, ci guida tra le sale del Museo Archeologico. Il Museo, che deve il nome al conte Vito Capialbi, studioso e appassionato di archeologia della zona, è nato nel 1968 all’interno del Castello di Vibo Valentia. Danneggiato da un terremoto alla fine del XVIII secolo, e in parte ricostruito, il castello, ora sede del Museo, ebbe molte “vite”: fu torre di avvistamento, residenza privata, prigione; e anche solo per la vista sul verde delle Serre che si gode dalle sue mura, varrebbe la sosta a Vibo.
All’interno del bel percorso museale si trovano esposti oggetti di età protostorica, frutto di scavi nella zona, ceramiche corinzie, rodie e attiche, bacili ed elmi in bronzo, statuette votive, oreficerie, pinakes. A catturare la nostra attenzione è una laminetta in oro, ritrovata nella tomba di una donna, recante un’iscrizione in dialetto dorico-ionico, con consigli per la defunta su come affrontare l’aldilà ed attestante il culto orfico.
Proprio sulle mura del Castello di Vibo Valentia, godendo il bellissimo panorama al tramonto, termina il racconto del nostro primo giorno di viaggio.