Tagliamo la regione da costa a costa, da Pizzo Calabro a Rossano per scoprire l’interessante storia della famiglia Amarelli. Una storia indissolubilmente legata alla terra calabrese in cui la liquirizia, che li ha resi noti, affonda le proprie radici e succhia il meglio.
La liquirizia calabrese è considerata la migliore liquirizia al mondo, per questo la sua estrazione, la lavorazione e la vendita erano attività molto diffuse nelle famiglie dei grandi proprietari terrieri; fino all’unità d’Italia c’erano circa 80 aziende attive nel settore. Di queste oggi sopravvive solo quella della famiglia Amarelli che, come dimostrano alcuni documenti, già intorno al 1500 era impegnata nella raccolta e nella vendita delle radici di liquirizia.
Guidati da Fortunato Amarelli visitiamo il Museo della Liquirizia, il vecchio “concio” primo impianto “industriale” per l’estrazione del succo dalle radici, costruito nel 1731 e ora restaurato, lo stoccaggio delle radici e i nuovi impianti; senza tralasciare l’assaggio in cui mettiamo tutti il massimo impegno!
Purtroppo il tempo è tiranno, lasciamo tanta profumata dolcezza e ci dirigiamo verso il centro storico di Rossano. E’ domenica, si è fatta l’ora di pranzo e la cittadina è tutta nostra, le strette stradine sono deserte, così come la cattedrale di Maria Santissima Acheropita e la chiesa della Panaghia; incrociamo qualche straniero solo nella nostra ultima tappa rossanese: il Museo Diocesano.
Viaggi avventurosi, smembramenti, un tentativo di incendio, occultamenti, ritrovamenti, precedenti invasivi restauri hanno messo a dura prova il Codex Purpureus Rossanensis, tornato visibile da pochi mesi presso il Museo Diocesano di Rossano, dopo quattro anni di restauro.
Ritrovato a metà dell’800 nella Sacrestia di Maria Santissima Acheropita e datato tra il V e il VI secolo, originario della Siria o dell’Anatolia, potrebbe essere arrivato in Calabria assieme ai monaci in fuga dalla furia iconoclasta, tra VIII e il IX secolo, o forse, secondo altre teorie più recenti, arrivò a Rossano alla sua elevazione a diocesi, nel X secolo.
Capolavoro di arte bizantina, scritto in greco maiuscolo, è il più completo e l’unico rilegato fra i quattro evangeliari esistenti al mondo con caratteristiche simili.
188 fogli (376 pagine) di pergamena giunti fino a noi (circa la metà di quelle che aveva in origine), di cui ben 15 miniate, contengono i Vangeli di Marco e Matteo (al quale mancano pochi versetti); si sono persi quelli di Luca e Giovanni.
Mentre lo osservi attraverso i vetri della teca che lo custodiscono e lo proteggono come un’incubatrice, però, non pensi a nulla di tutto questo, finisci per non ascoltare la guida perché resti ipnotizzato dal rosso del fondo, dai dettagli e dai colori delle miniature su cui è aperto: la parabola delle dodici vergini, l’ultima cena e la lavanda dei piedi.
Con gli occhi ancora pieni di stupore per la straordinaria bellezza di queste pagine, non a caso diventate Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 9 Ottobre 2015, ci godiamo i piatti tipici della signora Acheropita del Ristorante Mastro Giustino.
Nel pomeriggio, dopo aver accumulato un discreto ritardo, visitiamo il Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide, che si trova tra il parco archeologico dell’antica Sybaris e l’attuale Sibari, e ospita reperti che risalgono dall’era protostorica della Magna Grecia fino alla civiltà romana, provenienti da scavi relativi alle città di Sybaris, Thurii e Copia; si tratta principalmente di frammenti architettonici, corredi tombali e ornamenti religiosi.
Il meteo inclemente e la stanchezza hanno il sopravvento, così cancelliamo l’ultima tappa e torniamo a Rossano; qui qualcuno riposa, altri sfidano le onde e fanno il bagno sotto la pioggia.